PFOA cancerogeno, ora stop ai PFAS e bonifiche in Veneto

01 gennaio 2024

 

 

PFOA sicuramente cancerogeno per l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), i medici per l’ambiente (Isde) chiedono lo stop ai PFAS e le bonifiche in Veneto.

Lo scorso 30 novembre l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha sciolto ogni dubbio in merito alla cancerogenicità per l’uomo dell’acido perfluorottanoico (PFOA) e dell’acido perfluorottansulfonico (PFOS), composti che rientrano nella categoria più ampia delle sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate (PFAS), responsabili di gravi episodi di inquinamento tra cui la contaminazione delle acque nella Regione Veneto.

Il PFOA è stato posto nella categoria 1, quindi tra le sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo, mentre il PFOS è rientrato nella categoria 2b ed è stato classificato come potenzialmente cancerogeno.

 

Il processo di revisione della Iarc

Tali risultati sono giunti al termine del processo di revisione condotto dalla Iarc, che ha riunito per una settimana a Lione un gruppo di 30 esperti provenienti da ben 11 Paesi. Le conclusioni di questo lavoro sono state riportate nell’articolo “Cancerogenicità dell’acido perfluorottanoico e dell’acido perfluorottansulfonico”, pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Oncology (si veda: https://www.thelancet.com/journals/lanonc/article/PIIS1470-2045(23)00622-8/fulltext).

In base a questo studio, il PFOA è passato dalla categoria 2b alla 1 (cancerogeno per l’uomo) “sulla base di sufficienti prove di cancerogenicità negli animali da esperimento e di prove meccanicistiche ‘forti’ negli esseri umani esposti”. Le evidenze sufficienti sugli animali utilizzati nella sperimentazione si riferiscono al fatto che, in uno studio di buona pratica di laboratorio, “è stata osservata una maggiore incidenza di una combinazione appropriata di neoplasie benigne e maligne in entrambi i sessi di una singola specie”.

Negli esseri umani esposti, invece, l’evidenza meccanicistica è risultata forte perché è stato scoperto che il PFOA è immunosoppressore e induce alterazioni epigenetiche. Inoltre, “c’erano prove ‘limitate’ di cancro negli esseri umani per quanto riguarda il carcinoma a cellule renali e il cancro ai testicoli”, specifica lo studio.

Il PFOS, a sua volta, è stato classificato come “possibilmente cancerogeno” nella categoria 2b, sulla base di prove meccanicistiche forti. Al momento si tratta quindi di una pericolosità inferiore rispetto al PFOA, poiché le evidenze per il cancro si sono rivelate rispettivamente “limitate” negli animali da esperimento e “inadeguate” negli esseri umani. Analogamente al PFOA, il PFOS induce alterazioni epigenetiche ed è immunosoppressore negli esseri umani esposti.

PFOA e PFOS rientrano tra i PFAS che hanno trovato un largo impiego nelle applicazioni industriali e nei prodotti di consumo per le loro caratteristiche quali l’idrofobicità, la lipofobicità, le proprietà tensioattive e la stabilità chimica.

Il PFOA è ampiamente utilizzato nella produzione di fluoropolimeri e lo ritroviamo ad esempio nei rivestimenti superficiali dei prodotti per la casa resistenti a olio, macchie e acqua, in tappeti e tessuti, negli imballaggi alimentari, nei prodotti per la cura personale, nei materiali da costruzione e nei rivestimenti per cavi e fili. Il PFOS ha impieghi simili (cere, tappeti, imballaggi alimentari) ma è anche ampiamente utilizzato nelle schiume antincendio di classe B, per realizzare semiconduttori, coloranti e inchiostri e perfino nei processi di fotolitografia e galvanica.

L’esposizione della popolazione a PFOA e PFOS avviene tramite l’alimentazione, l’acqua potabile e potenzialmente i prodotti di consumo. Quella più elevata si verifica nella produzione fluorochimica e quindi per motivi professionali, con le principali vie di esposizione per i lavoratori costituite dall’inalazione, dall’assorbimento cutaneo e dall’ingestione di polvere.

In generale, PFOA e PFOS sono molto resistenti al degrado e si ritrovano a livello globale, anche se i loro livelli ambientali variano notevolmente a seconda delle regioni, dipendendo dalle fonti di inquinamento.

PFOA e PFOS vengono rilevati nei campioni di sangue delle popolazioni studiate in tutto il mondo e i livelli medi sono fino a cento volte più alti nelle comunità vicine a siti inquinati”, si legge nello studio. Capaci di accumularsi in vari tessuti, tra cui sangue, fegato e polmoni, si trovano pure nella placenta, nel sangue cordonale e nei tessuti embrionali e, tramite il latte materno, possono essere trasferiti ai neonati. Senza dimenticare che la stessa ricerca ha evidenziato che i PFAS determinano una minore reazione ai vaccini e una maggiore vulnerabilità alle infezioni.

 

Il commento e le richieste dell’Isde

L’Associazione medici per l’ambiente (Isde) ha accolto favorevolmente la decisione della Iarc “che convalida il nostro impegno in difesa dei lavoratori e delle popolazioni contaminate da sostanzaperfluoroalchiliche PFAS, impegno iniziato immediatamente dopo la scoperta nel luglio 2013 della contaminazione da PFAS di una vasta area di tre provincie del Veneto”.

Fu proprio l’Isde, nell’autunno 2013, a lanciare un appello alle autorità locali e nazionali affinché fossero subito attuate misure efficaci per arrestare l’immissione di queste sostanze tossiche nell’ambiente ed assicurare acqua non contaminata alle popolazioni colpite. “Purtroppo, ancora oggi, solo alcuni di questi provvedimenti sono stati effettuati e parzialmente, lasciando l’ambiente e ampie fasce della popolazione veneta senza protezione”, scrive l’Isde.

L’impegno anti-PFAS in Veneto dei medici per l’ambiente si è tradotto nell’unico studio, pubblicato in una rivista specializzata internazionale, che ha evidenziato la correlazione tra l’esposizione ai PFAS e l’eccesso di mortalità per cause tumorali e altre malattie croniche. Sta inoltre per essere completato uno studio sulla fertilità maschile nei giovani maschi esposti in Veneto, grazie anche alla partecipazione volontaria di oltre mille soggetti, a testimonianza di quanto questo tema sia realmente sentito tra la popolazione dell’area colpita.

L’Isde chiede a gran voce lo stop ai PFAS ed il completamento delle bonifiche in Veneto e nel resto d’Italia, a partire dalla provincia di Alessandria, dove si trova uno stabilimento che immette tonnellate di queste sostanze tossiche nell’ambiente.

 

Il caso veneto 

Come ormai appurato dagli studi scientifici, i PFAS sono sostanze persistentiad accumulo e nocive per la salute umana. Tossici a basse concentrazioni, oltre ad essere potenzialmente cancerogeni sono pure potenti interferenti endocrini.

Il grave caso di inquinamento da PFAS in Veneto, di durata quarantennale ma scoperto solo nel 2013, risale all’attività produttiva della Miteni (Mitsubishi più Eni) nel Comune di Trissino (Vi). L’azienda è fallita nel 2018 ma la contaminazione della falda acquifera è ancora in atto.

Dopo il primo biomonitoraggio, nel 2015-16 la Regione Veneto ha diviso il territorio in fasce in base all’inquinamento: nella zona rossa A, che comprende parte delle province di Vicenza, Verona e Padova per un totale di circa 130mila abitanti, sono contaminate sia le acque di falda che quelle di superficie. Qui è proprio il PFOA l’acido maggiormente riscontrato nelle acque di falda e nel sangue dei residenti.

Molti provvedimenti sono stati presi – adozione di filtri con carboni attivi per l’acqua del rubinetto collegata all’acquedotto, per le acque ad uso zootecnico sono stati imposti gli stessi limiti di Pfas delle acque ad uso umano (1.030 ng/l), il 16 novembre 2017 è partita la campagna di monitoraggio degli alimenti, il 21 marzo 2018 è stato dichiarato lo stato di emergenza e dal 2019 sono iniziati i lavori per le nuove fonti di approvvigionamento pulite – ma molto resta ancora da fare ed alcune associazioni – Mamme No Pfas in primis – denunciano pure i tanti limiti e le inefficienze di queste misure.

Ampio spazio a questa vicenda è stato dato anche in un recente documentario, Chemical Bros, che indaga più in generale sulle drammatiche conseguenze dell’inquinamento da fluoro.

Per quanto riguarda l’aspetto giudiziario, è ancora in corso il processo a Vicenza che vede imputate 15 persone collegate in vari ruoli all’azienda Miteni. Tra le accuse quelle di inquinamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta.

In una delle ultime udienze sono stati presentati i risultati di uno studio dell’Università di Padova, secondo cui, negli ultimi 40 anni, nella zona rossa contaminata dai PFAS si sono registrati 3.800 decessi in più rispetto alle altre aree delle tre province non toccate dagli sversamenti della Miteni.  Le Mamme No Pfas restano sulle barricate.